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Secondo me (perché il "Primo me" era già preso)

Ciao a tutti, sono Elia. Ho deciso che per il post di oggi mi raffigurerò in prima persona usando il mio magico talento di fare immagini con Photoshop:

eccomi qui, di fronte ad una rappresentazione allegorica del mio lavoro. Si perché in un certo senso l'attività di ricerca scientifica assomiglia al lavoro di un minatore. Immaginate che quelle linee zigzagate siano una vena d'oro e una vena d'argento, che le pietre rosse siano rubini e quella blu uno zaffiro. Ecco, la vena d'argento sarà allora un risultato sperimentale, quella d'oro un risultato di eccezionale valore e le gemme... Beh, gemme. Ci sono le gemme anche nella ricerca.


Questa roccia scura scura è difficile da scavare, ma non devo per forza affrontarla, posso sempre scegliere qualcosa più alla mia portata, come questa roccia grigia "morbida":

o al limite accontentarmi di una ricerca molto più facile da scavare, qualcosa alla portata di tutti, come questo terriccio:



dal mio punto di vista, questi tre terreni hanno egual dignità di venire scavati. Certo vedete che il terreno duro può dare i risultati migliori, mentre quello che è più facile da affrontare porterà in genere risultati di minor pregio. Ci sono diverse motivazioni per questo: le ricerche "facili" sono spesso già state esplorate in lungo e in largo, lasciando pochissimo spazio di sviluppo, ma può anche essere un limite dovuto alla disponibilità di risorse e strumenti.


Lasciatemi chiarire: l'argento che si trova nel terriccio marrone ha minor pregio ma egual dignità, è più un nostro bias quello di mettere la ricerca scientifica su una scala di importanza, scala spesso legata ai nostri bisogni momentanei se non addirittura ai nostri capricci.


Ma facciamo un passo indietro, non è mica detto che scavando una roccia durissima spendendo un sacco di energie io possa trovare per forza qualcosa di valore, è soltanto una questione di probabilità. E prima che venga impalato da un geologo, è sempre parte dell'allegoria.


Posso benissimo scavare una roccia durissima per anni e non trovarci un fico secco:


alla fine è tutta una questione probabilistica, ma non si può ottenere comunque molto andando a caso.


Come si fa a sapere dove scavare?


Ci sono quattro fattori fondamentali:

- il culo;

- l'esperienza;

- la collaborazione;

- il culo.


Si, ho scritto due volte "culo", ma credo che molti studenti di dottorato abbiano provato sulla loro pelle perché la lista è strutturata così. Nonostante l'immagine che segue, l'esperienza comunque non è tanto un fatto di età, ma di ore passate a studiare, scervellarsi, provare e sbagliare.


Ma torniamo alla nostra miniera. Non è sufficiente sapere cosa scavare e in che direzione farlo, c'è un altro parametro fondamentale per il successo della nostra ricerca, che è rappresentato dai mezzi a nostra disposizione:


parliamoci seriamente: se la ricerca scientifica fosse un videogioco, sarebbe un Pay to Win, dove quindi hai più probabilità di vittoria se hai molto denaro da spenderci sopra. Avere macchinari a disposizione non influenza molto l'avere o meno buone idee, ma permette di raggiungere obiettivi più lontani, con più conferme sperimentali e in molto meno tempo.


Non è difficile immaginare che se dovessi scavare la roccia dura con la forchetta, ci metterei un'eternità ad ottenere anche solo un briciolo d'oro. Un risultato che potrei ottenere subito (assieme a molto altro) con un po' di sano trinitrotoluene.



estrarre i dati dalla dura roccia è comunque solo la prima fase della ricerca: le nostre pietre e i nostri metalli preziosi sono ancora mescolati ad un sacco di errori sperimentali, di contenuti non statisticamente significativi, di cazzate. Il nostro filtro personale, per quanto buono, difficilmente riesce a ripulire del tutto i risultati. In più, dato che i nostri dati potrebbero portarci prestigio, riconoscimenti e (macché) vantaggi economici, c'è sempre il rischio che infiliamo volutamente qualche schifezza nella speranza di aggiungere un po' di peso al nostro lavoro.


Alcuni scienziati poco deontologici si fermano a questo punto: acquisiscono dei dati, li filitrano attraverso i propri personali standard e li sottopongono al pubblico così come sono. Ce ne sono di molto famosi, alcuni campano (più che dignitosamente) di offerte e vendite di integratori online. Ma ci ritorniamo tra poco.


In quello che è lo standard della revisione tra pari, idealmente i dati verrebbero quindi pesati da un comitato di esperti, con lo scopo di individuare eventuali materiali di scarto che fanno peso ma sono privi di valore. Dati falsi, conclusioni errate, mancato uso degli strumenti statistici, ad esempio. Dico idealmente perché questo sistema è a sua volta fallace ed è stato più volte evidenziato come sia estremamente difficile avere una revisione onesta, completa e utile al lettore. Insomma, alla fine è un nuovo filtro, la cui efficienza è però a volte dubbia. Lo abbiamo visto durante l'epidemia di SARS-CoV-2, sono stati pubblicate ricerche che si sono rivelate immondizia sul lungo termine.


Una volta che la ricerca è pubblicata, le informazioni sono bene o male rese visibili al potenziale lettore. Ci sono infiniti tipi di lettori ed è impossibile mettersi qui a parlare di come ciascun modello reagisca direttamente allo stimolo proveniente dai dati. Cercherò quindi di semplificare il più possibile: un lettore completamente sprovvisto di un'opinione in merito, potrebbe fare suoi i concetti presenti nella pubblicazione. Idealmente questa dovrebbe essere la reazione di una persona completamente impreparata in materia che si trovi di fronte ad una pubblicazione perlomeno credibile. E con questo meccanismo dovrebbe formarsi il loro metro di giudizio futuro.


Troppo spesso però questo meccanismo viene invertito ed è il lettore finale a fare pressione fino a plasmare il lavoro dei ricercatori. Questo accade perché certi scienziati sono fortemente influenzati dall'opinione pubblica, ma anche perché adattarsi alla volontà dell'utente finale può portare un vantaggio economico. Prendiamo ad esempio un ricercatore che pubblichi i propri risultati senza revisione tra pari e adattandosi al sentimento popolare: troverebbe sicuramente tantissimo consenso. Potrebbe addirittura decidere di dare volontariamente una forma specifica ai propri risultati perché si adattino meglio al suo cliente... Se non inventarli di sana pianta. Il tizio con il maglione verde, ad esempio, cambia la schifezza marrone in un cerchio per adattarla meglio al suo pensiero.


Un simile elemento, privo di etica, godrebbe comunque di sostegno incondizionato e potrebbe sicuramente monetizzarlo attraverso l'uso dei social network.


Alla fine la questione è praticamente identica al giochino con le formine da infilare nel buco corrispettivo con cui giocavamo da piccoli. Tutti abbiamo i nostri "buchi" attraverso passano (vengono accetate) solo informazioni con la forma adatta. Se mi incaponisco che la realtà è triangolo, tutti i dati cerchio del mondo non riusciranno mai a passare il mio filtro.


Esistono quindi solo tre alternative:

(1) l'informazione cerchio non viene accettata. Mai. A nessun costo;

(2) di fronte all'evidenza di cerchio, faccio un buco nuovo per la formina cerchio (magari rimuovendo quel triangolo sbagliato);

(3) qualcuno macina per me l'informazione, la trasforma in un bellissimo (e falsissimo) triangolo e me la infila direttamente in gola come mamma uccellino fa con i suoi pulcini.


La gente ultimamente sembra preferire (3). Speriamo solo che la tendenza cambi.

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