La scienza di Bob Ross
In queste ultime settimane sono rimasto intrappolato in una serie di discussioni spiacevoli, meri battibecchi tra scienziati con posizioni ed idee (o ideologie?) diverse.
Come sapete, non amo molto questo genere di situazioni. Non fraintendetemi: ne andavo ghiotto qualche anno fa, tanto che stuzzicavo apposta gli interlocutori nella speranza di generare un così detto flame. Al tempo anche io andavo in estasi per i post caustici di Roberto Burioni. Forse sono cresciuto, forse sono invecchiato, forse ho imparato qualcosa. O forse no, magari ho perso quello che avevo. Il risultato comunque è che questi litigi sui social non mi piacciono più. Li trovo un danno all'immagine e alla credibilità della comunità scientifica e quindi deleteri alla società in cui viviamo.
Ultimamente avete visto una pesante ingerenza del mondo scientifico nella politica e nella società italiana, spesso presentata come una serie di dictat inamovibili. Il giornalismo (non tutto, ma buona parte) in questo non aiuta, pescando e rilanciando "a caso" (o meglio, "ad populum") gli argomenti da presentare, in tono sempre più spesso polemico, provacatorio e sterile.
Quante volte già un articolo praticamente ignorato dalla comunità scientifica (o pesantemente criticato) è stato rilanciato dai media come fosse il nuovo testo sacro della gestione dell'epidemia? Lo abbiamo visto accadere con i farmaci, con i trattamenti, con la didattica a distanza, con l'apertura/chiusura di scuole e locali.
Sapete tutti di cosa sto parlando. Ma non voglio fare nomi perché questo post deve essere generale e, possibilmente, maieutico.
Oggi voglio rifarmi ad una delle mie figure televisive di riferimento, il pittore e conduttore televisivo americano Bob Ross. Una persona nota per la sua gentilezza e la profonda emotività, moralmente molto più in alto di quanto probabilmente sarò in grado di raggiungere nella mia vita.
Voglio usare una figurina di Bob Ross disegnata da me (perdonami, Bob) per mostrarvi un'allegoria della mia ricerca scientifica:
Vedete l'opera sulla tela di Bob? Quel quadratino colorato? Quello rappresenta molto bene la mia ricerca scientifica. O quella di tanti altri scienziati come me. Un'opera incompleta e che può avere tantissime interpretazioni differenti, a seconda degli occhi di chi la guarda. I colori sono volutamente sbiaditi perché è solo una ricerca, non ancora confermata dal lavoro di altri. La trasparenza rappresenta quindi l'effimerità, la mancanza di controllo, la scarsa solidità. Mano a mano che altre ricerche, mie e di altri gruppi, confermeranno i risultati da me ottenuti, la figura guadagnerà nitidezza e si allargherà:
... ma ancora non si capisce, vero? Vedete i punti dove i vari ritagli si sovrappongono? Vedete come il colore diventa più opaco e nitido? Finalmente si riesce a distinguere il rosso dal marrone e pare si sia aggiunto un grigio nella parte destra. Dico "pare" perché è ben poco visibile. Siamo ancora ben lontani da poter avere un quadro completo dell'opera perché l'insieme di questi otto frammenti (ricerche) è ancora insufficiente a trarre una conclusione precisa. I dati concordano (nel senso che si sovrappongono bene e si allineano chiaramente), ma sono un frammento di quelli necessari ad avere una visione d'insieme.
Cosa succede se a questo punto aggiungiamo risultati contrastanti? Vediamolo con un esempio:
In questa immagine si delinea una nuova figura e sebbene i colori non combacino perfettamente non si può ancora dire se queste nuove ricerche siano o meno in contrasto con quelle precedenti. Quando una ricerca è ancora frammentaria ed imprecisa (come nell'immagine sopra) è facile finisca infilata in interpretazioni da cui in realtà dovrebbe divergere. Questo perché mancano ancora elementi necessari a delinearne il profilo preciso.
Quando una ricerca è in questo stadio evolutivo, è facile prendere cantonate ed è per questo che bisogna stare molto molto attenti nell'interpretazione dei risultati. Questo è uno dei motivi per cui le riviste scientifiche raccomandano agli autori di non divulgare in anticipo alla stampa il risultato dei loro esperimenti, ma anche il motivo per cui io insisto che è importante guardare quale sia la visione complessiva, il così detto consenso scientifico, e il consenso scientifico non si può basare su dati come quelli in figura perché sono ancora inconsistenti.
A suon di aggiungere pezzi su pezzi, ecco che finalmente il significato di tutte queste ricerche inizia a prendere forma. La figura qui sopra è un collage di 74 singoli ritagli e, sebbene ancora incompleta, mostra finalmente un soggetto a cui potremmo tentare di dare un significato preciso. Vedete come divetano forti e opachi i colori dove le regioni si sovrappongono, aumentando la nitidezza? Questo potrebbe essere un esempio di consenso scientifico perché i vari pezzi concordano e si completano a vicenda.
Questo non significa che l'interpretazione sia univoca ed infallibile, ma semplicemente che inizia ad essere ragionevole, che c'è una buona probabilità di riuscire a dare l'interpretazione più vicina alla realtà. Non l'interpretazione corretta perché in scienza ci si basa sull'approssimazione, ovvero ci si avvicina sempre di più a una verità irraggiungibile.
Ma cosa succede a questo punto se includiamo nell'immagine anche i dati contraddittori di prima?
Come vedete, poco. Questo perché i dati contraddittori non trovano conferme in altri ritagli e finiscono per rimanere dei difetti locali, semitrasparenti, che perturbano l'immagine senza stravolgerla. Questo è esattamente l'effetto che un articolo mal interpretato o addirittura scorretto ha nei confronti di un solido consenso. L'effetto dei dati contraddittori si perde perché, diversamente dagli altri ritagli, non viene rinforzato dalla sovrapposizione.
Per chi se lo stesse chiedendo, ecco l'opera completa, "il Centurione".
Ora, lasciatemi concludere con una riflessione. Siamo tutti portati a credere ai risultati che sono più affini al nostro modo di vedere al mondo, alle nostre paure e alle nostre speranze. Lo siamo al punto che anche chi la scienza la mastica bene è tragicamente affetto da una lunga lista di bias personali. I bias non si possono togliere, non si possono curare del tutto. Sono parte essenziale di quello che siamo, difetti su cui possiamo lavorare ma che bene o male in toto o in parte ci porteremo fino alla tomba. Sono parte di noi e dobbiamo accoglierli, comprenderli.
Accettare la parzialità ed effimerità della nostra esperienza è un importante gesto di crescita personale. Mettere insieme i pezzi e saper dire "mi sono sbagliato", alla luce dei fatti, è l'equivalente razionale del risveglio buddhista.
Facciamo questo passo insieme, costruiamo con i ritagli e non trasformiamoli in feticci.
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