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La dignità dello yokozuna

Premessa: non sono una persona particolarmente preparata nel campo degli sport, quindi abbiate un po' di pazienza e comprensione.


Questo articolo è ispirato a diverse discussioni che si sono susseguite nei giorni scorsi sui social network, riguardanti il concetto di autorevolezza e di etica professionale. Ho pensato che questo argomento si potesse sposare bene con lo sport: non tanto perché si fa un gran parlare della nuova Superlega calcio ma perché ci sono degli interessanti parallelismi.


Avete mai sentito parlare degli yokozuna?






Per farla molto breve, lo yokozuna (横綱, "larga corda") è ritenuto il grado più alto nello sport del sumo, seguito dagli ozeki (大関, "grande barriera"), poi dai sekiwake (関脇), dai komusubi (小結) e dai maegashira (前頭). Questi cinque gruppi insieme formano i makuuchi (幕内) la divisione superiore. In un certo senso qualcosa a metà strada tra la serie A e la lista delle squadre ammesse in Coppa Italia nel calcio.


Esistono in totale 6 divisioni, i makuuchi sono la prima, poi ci sono i juryo (2), i makushita (3), i sandanme (4), i jonidan (5) e i jonokuchi (6).


Diamo due numeri, per capirci. La prima divisione conta 42 atleti. Prima e seconda sommati contano 70 atleti (chiamati sekitori, 関取), le 6 divisioni insieme 600 membri totali.


In cima a questa piramide ci sono gli yokozuna. Si, mi rendo conto che sembra uno di quegli sketch di Aldo Giovanni e Giacomo dove si inventano le parole in sardo, ma vi assicuro che è una nomenclatura molto seria qui in Giappone.


Quanti sono?


Al momento, due. Entrambi originari della mongolia. In tutta la storia del sumo (quindi dal 1700 circa) solamente 80. Nel 2019 ce n'è stato anche uno Giapponese, Kisenosato, che si è però ritirato molto presto perché, per sua ammissione, incapace di mantenere il livello necessario come atleta.


Ma perché così pochi?


Perché nonostante abbia scritto che lo yokozuna è ritenuto un grado, in realtà è a tutti gli effetti un titolo onorifico. Il simbolo di questo titolo è proprio la corda spessa (綱, tsuna) con cui si cingono la vita durante le cerimonie. Una robetta che pesa circa 20 kg.





Come si diventa yokozuna?


Beh, ovviamente si parte dal basso, come un normale atleta in mutandoni (廻し, mawashi). So che fanno ridere, ma sono un costume tradizionale derivato dal fundoshi (褌) e vengono portati con il massimo rispetto.


Per diventare yokozuna comunque serve superare tre parametri, uno basato sulla forza (banalmente, quanto si vince), uno sullo stile (quanto bene si eseguono le varie tecniche) e l'ultimo, chiamato hinkaku (品格), potrebbe essere tradotto come grazia o come dignità. Non è quindi sufficiente essere il più forte, bisogna anche mostrare di amare il sumo e di avere delle caratteristiche morali elevate.



Atleti violenti, volgari ed irrispettosi non possono aspirare al rango (onorifico) più alto dello sport. Uno yokozuna deve essere un esempio per gli altri e motivo di orgoglio per se stesso, per la sua famiglia (allargata al dojo), per la nazione e per i suoi predecessori. Per questo motivo non è nemmeno obbligatorio che ci sia uno yokozuna attivo, potrebbero infatti non esserci atleti con le necessarie caratteristiche. Come esistono nella storia momenti in cui ci sono stati quattro o anche cinque yokozuna nello stesso momento.


Ma perché ho tirato fuori questo argomento?


Per parlare di... scienza. Anzi no. Anzi si. Anzi forse. Non la scienza alla base del sumo, anche se probabilmente sarebbe un argomento interessante. E il discorso che voglio fare comunque si può estendere facilmente ad altri ambiti in cui sono meno ferrato quindi diciamo che voglio parlare di modo di porsi o forse di deontologia.


Lasciatemi ribadire il concetto: yokozuna, il massimo rango (onorifico) del sumo richiede potenza, tecnica e dignità. Capisco che nel mondo occidentale siamo abituati ad avere atleti fortissimi nei primi due punti e ce ne frega davvero poco dell'ultimo, ma ritengo personalmente che sia una nostra mancanza più che una esagerazione di altre culture. E si, sono cosciente che esistono delle eccezioni, che alcuni sport/federazioni riconoscono un valore alla dignità. Ma permettetemi di far notare che raramente si tratta degli stessi sport di interesse sociale ed economico, quelli che vediamo in genere in TV, per capirci.


Veniamo alla scienza. Questi mesi di pandemia hanno fatto (ri)scoprire al mondo l'importanza sociale degli scienziati. Personaggi un tempo relegati a laboratori e aule universitarie sono ora al centro di animate discussioni o comodamente seduti nei migliori (?) salotti televisivi, a condividere con il mondo la propria saggezza. Alcuni gestiscono pagine internet informative a cui attingono centinaia di migliaia di utenti al giorno. Altri rilasciano interviste più rapidamente di quanto un ciclostilo possa poi stamparle.


Abbiamo imparato a misurare (o, meglio, valutare) questi personaggi sulla base della loro autorità, con indici di cui poco capiamo (h-index in primis) o sulla base dei premi ricevuti o, ancora meglio, per il rango che hanno raggiunto nel corso della loro carriera: rofessore ordinario, rettore, direttore, primario, viceré.


L'errore che rischiamo di commettere è quello di considerarli autorevoli guardando solo la loro potenza, trascurando sia tecnica che dignità.


Non importa che uno scienziato sia primario di medicina e abbia 500 pubblicazioni importanti, se poi il lavoro è stato fatto tutto dai suoi sottoposti e lui non conosce le basi della tecnica, ad esempio la statistica e la logica. Per chi ha familiarità con il karate, questi sono i kata (型), i fondamentali della tecnica.


Certo può dire cose vere o, meglio, condivisibili. Ma lasciatemelo ribadire un attimo, qui stiamo parlando di deontologia.


Ora però voglio chiedervi una cosa. Vi accontentereste di potenza e tecnica?


La AGU (American Geophysical Union) ad esempio riporta tra le responsabilità e i diritti degli scienziati: "[Science] requires scientists to conduct and communicate scientific work for the benefit of society, with excellence, integrity, respect, fairness, trustworthiness, clarity, and transparency".


Capirete che gli scienziati che insultano, mentono, rifiutano il dialogo e sobillano il prossimo non hanno questi requisiti essenziali di dignità. E concorderete con me che questi principi non vengono improvvisamente meno una volta usciti dalle mura del laboratorio.


Quindi, lasciatemi concludere.





Prendete i vostri scienziati di riferimento. Quelli che vi danno ascolto, quelli che voi ascoltate. Quelli che vorreste ascoltare, quelli che vorreste fossero ascoltati. Prendeteli e chiedetegli di non essere solo potenti, ma di diventare i vostri yokozuna della scienza. Aiutiate chi si erge (o è stato erto a) rappresentante della comunità scientifica a capire che è un onore che comporta dei pesanti oneri. E che richiede, oltre alla dedizione, il rispetto dei tre parametri: potenza, tecnica e dignità.

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